IL TRIBUNALE
   Letti gli atti del procedimento n. 5969/06 R.G.;
   Osserva quanto segue.-
   1.  -  In  data 30 maggio 2007 ha assunto l'incarico di consulente
tecnico  dell'ufficio  la  dott.  Anna  Spina,  alla  quale  e  stato
assegnato  termine  fino  al 30 settembre 2007 per il deposito di una
relazione scritta.
   Il 25 settembre 2007 (entro il termine assegnatole) la dott. Spina
ha  depositato  la  sua  relazione  e, con istanza depositata in pari
data, ha chiesto la liqui-dazione dei compensi che le spettano.
   L'odierna  parte  attrice, Viscuso Palma, con provvedimento del 21
febbraio  2006  n. 317/06  Reg. Grat. Patr. del Consiglio dell'Ordine
degli  avvocati  di  Catania,  e stata ammessa al «patrocinio a spese
dello Stato».
   Dunque,  il pagamento dei compensi spettanti al consulente tecnico
dell'ufficio  e'  disciplinato  dall'art. 131, comma 3, del d.P.R. 30
maggio  2002,  n. 115,  intitolato  «Testo  unico  delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia».
   Dispone  quella norma che «gli onorari dovuti (...) all'ausiliario
del  magistrato,  sono prenotati a debito, a domanda, (...) se non e'
possi-bile la ripetizione dalla parte a carico della quale sono poste
le  spese  processuali,  o  dalla  stessa parte ammessa, per vittoria
della causa o per revoca dell'ammissione».
   La norma sembra inconstituzionale sotto diversi profili.
   2.  -  In  forza  di  essa,  in  una grande maggioranza di casi il
consulente tecnico dell'ufficio non verra' pagato per nulla.
   Gia'  l'art.  130  dello  stesso d.P.R. prevede che i compensi del
consulente   tecnico   dell'ufficio   in  casi  come  quello  qui  in
discussione  deb-bano  essere  ridotti alla meta' - vulnus certamente
gia'  molto  rilevante per il diritto di un professionista a ricevere
compenso  per  l'opera  professio-nale che presta -, ma la previsione
del comma 3 dell'art. 131 qui in discussione fa si' che, addirittura,
in moltissimi casi il professionista non venga pagato per niente.
   In particolare, il professionista non sara' compensato per l'opera
prestata   in   tutti  i  casi  (e  sono  tantissimi)  di  volontaria
giurisdizione  (a  un caso del genere si riferisce l'ordinanza dell'8
gennaio  2007,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 46  del 28
novembre 2007, con la quale il Tribunale di Trapani ha gia' sollevato
analoga   questione   di   costituzionalita'   della   norma  qui  in
discussione),  nei quali non c'e' un convenuto soccombente e in tutti
i  casi  -  fra  i  quali  sembra rientrare, per le ragioni di cui si
dira',  quello  qui  in  discussione - (che pure sono tantissimi) nei
quali  la parte attrice ammessa al patrocinio a spese dello Stato sia
soccombente.
   Cio'  che  il comma 3 dell'art. 131 del d.P.R. n. 115/2002 prevede
e'  che  in  casi  come  quello  oggetto  dell'odierno  contendere il
professionista  che  abbia  prestato  la  sua  opera  come consulente
tecnico  dell'ufficio debba attendere (per molti anni) la conclusione
del giudizio.
   Dopo   la   conclusione   del   giudizio  (sul  cui  corso  dovra'
costantemen-te  informarsi  da se', perche' nessuna comunicazione gli
verra'  data),  dovra'  verificare  se  sia «possibile la ripetizione
dalla  parte  a  carico della quale sono poste le spese processuale o
dalla  stessa  parte  ammessa,  per vittoria della causa o per revoca
dell'ammissione».
   Nel  caso  tale  possibilita'  non vi sia, dovra' fare domanda per
ottene-re che il suo credito venga «prenotato a debito».
   L'art.  134 dello stesso d.P.R. n. 115/2002 disciplina il recupero
delle spese ai fini del pagamento delle somme prenotate a debito.
   La lettura del combinato disposto degli artt. 131 e 134 del d.P.R.
in esame dimostra che il professionista che abbia prestato opera come
consulente   tecnico  dell'ufficio  dovra'  sempre  e  in  ogni  caso
attendere  per  anni  l'esito  del giudizio e non verra' comunque mai
pagato nei casi di volontaria giurisdizione e nei giudizi contenziosi
quando  la  parte  am-messa  al  patrocinio  a  spese dello Stato sia
soccombente e l'ammissione al patrocinio non venga revocata.
   Si  tratta,  com'e'  di  tutta  evidenza,  di  casi  numericamente
frequen-tissimi.
   Il  caso  oggetto  dell'odierno  contendere e' quello di un'azione
civile  contenziosa  con  la  quale la parte attrice lamenta di avere
subito  danni  per  responsabilita'  professionale  di  medici  di un
ospedale e ne chiede il risarcimento.
   Il   consulente   tecnico   dell'ufficio  e'  stato  nominato  per
verificare  la  fondatezza  o  meno delle «accuse» di responsabilita'
professionale  che  vengono  mosse  dalla  parte  attrice  ai  medici
dell'azienda ospedaliera convenuta.
   Si  tratta  di  un caso simile a tanti che vengono trattati in una
Sezio-ne  che,  come  quella  di questo Tribunale specializzata nella
materia del «risarcimento danni alla persona», tratta un elevatissimo
numero di casi aventi questo medesimo oggetto (molte centinaia).
   Casi  come  questo  pongono  un  delicato  problema  di scelta del
consulente tecnico dell'ufficio, perche' egli:
     A)  dovra'  essere  individuato  fra  medici  con una competenza
profes-sionale  tale  da  potere  ricostruire  in maniera adeguata le
vicende   cliniche   controverse,   per   individuare   o   escludere
responsabilita' professionali di altri medici;
     B)  dovra'  essere estraneo a rapporti professionali qualificati
con  i  medici  la  cui  opera  deve  «giudicare»,  pena il legittimo
sospetto di una sua non serenita' di giudizio;
     C)  non dovra' avere rapporti fiduciari con alcuna delle diverse
compagnie di assicurazione che garantiscono i molti medici e ospedali
che operano nel territorio di competenza di questo ufficio.
   Insomma,  il  consulente tecnico dell'ufficio in cause come quella
odierna  dovra'  essere  insieme  molto  competente,  ma  non  troppo
«inserito»  negli  ambienti professionali nei quali si sono svolte le
vicende controverse.
   Cio'  fa si' che, inevitabilmente, la scelta di esso non possa che
essere effettuata nell'ambito di un numero limitato di professionisti
idonei all'incarico.
   Costoro  non  verranno pagati per il loro lavoro tutte le volte in
cui  la  responsabilita' professionale ipotizzata dalla parte attrice
ammessa al patrocinio a spese dello Stato risultera' insussistente.
   Cio' da' luogo alla paradossale situazione per la quale l'essere o
no  i  professionisti in questione remunerati per la loro prestazione
d'opera  dipende  dal  giudizio  di  merito  che  formuleranno  sulla
sussistenza   o  no  delle  responsabilita'  ipotizzate  dalle  parti
attrici.
   Se   la   responsabilita'   professionale  delle  parti  convenute
sussistera',  esse, all'esito del giudizio, saranno condannate e, sia
pure   fra  molti  anni,  il  consulente  tecnico  dell'ufficio  vena
remunerato  -  sebbene m misura ridotta della meta' -; se, invece, la
responsabilita'   professionale  dei  convenuti  verra'  esclusa,  il
consulente  tecnico dell'ufficio avra' prestato gra-tuitamente la sua
opera professionale.
   Nel  caso  qui  in discussione, il consulente tecnico dell'ufficio
dott.  Spina  ha  escluso  la  fondatezza,  sotto  il profilo tecnico
medico-legale, degli assunti di parte attrice.
   3.  - Sembra al sottoscritto che questa disciplina violi l'art. 36
della  Costituzione,  perche'  fa  si'  che  in  moltissimi  casi  il
professionista  nominato  consulente  tecnico  dell'ufficio non venga
retribuito  per  nulla  per un'opera professionale peraltro di grande
impegno e responsabilita' (giu-dicare della correttezza professionale
di suoi colleghi).
   Cio'  che  accade, in definitiva, e' che quello che viene definito
dalla  legge  della  quale  si discute come «patrocinio a spese dello
Stato»  sia,  invece, in tutti i casi (moltissimi) nei quali la parte
ammessa   ha   torto,  un  «patrocinio  a  spese  del  professionista
incaricato». Il che sembra davve-ro paradossale.
   Grande  e',  peraltro,  l'imbarazzo di un ufficio come questo, che
deve  reiteratamente imporre a un piccolo numero di professionisti di
pre-stare  gratuitamente  la  propria opera in favore di soggetti che
promuovo-no azioni civili che in molti casi risultano infondate.
   Ne'  si'  puo'  dire che il sacrificio richiesto ai professionisti
incaricati  sia  statisticamente raro ed eccezionale, perche', per le
ragioni  gia' dette, in diversi ambiti di applicazione della norma (e
quello oggetto dell'odierno contendere e fra questi), in relazione al
non  elevato  numero  di  professionisti aventi i requisiti necessari
alla   bisogna,  questi  ultimi  vengono  frequentemente  chiamati  a
prestare la loro opera nelle condi-zioni di cui qui si discute.
   Per  di  piu', l'incarico di consulente tecnico dell'ufficio e' un
ufficio  pubblico irrinunciabile da parte del professionista nominato
dal magi-strato, che e' obbligato a rendere la prestazione lavorativa
impostagli.
   4.  -  Sembra,  poi,  che  la  norma di cui si discute violi anche
l'art.  97  della Costituzione, perche' il fatto che la remunerazione
dipenda  dall'esito  del  processo  rischia di mettere in pericolo la
serenita'   «di   giu-dizio»  e  l'imparzialita'  del  professionista
incaricato di un pubblico uffi-cio.
   Egli,  infatti,  potrebbe  essere  indotto  a  «prediligere» anche
incon-sciamente  e  in buona fede, fra diverse ricostruzioni tecniche
delle   vicen-de  sottoposte  al  suo  esame,  quelle  che,  rendendo
vittoriosa la parte am-messa al patrocinio a spese dello Stato faccia
si che la sua opera sia remunerata.
   5.   -  La  norma  in  discussione,  inoltre  -  e  questa  appare
considerazione  decisiva  -,  sembra  violare  anche  l'art.  3 della
Costituzione,  in relazione a quanto disposto per i procuratori delle
parti  ammesse  al  patrocinio in quel caso si' davvero a spese dello
Stato (e non del professionista incari-cato).
   Dispone,  infatti,  il  comma  4  del  citato  art. 131 del d.P.R.
n. 115/2002  che  le  spese  e  gli  onorari  dovuti all'avvocato che
rappresenta  e  difende  la parte ammessa al patrocinio a spese dello
Stato sono anticipa-te immediatamente dall'erario.
   Cio' da' luogo a una disparita' di trattamento che non solo lede i
diritti  dei professionisti nominati consulenti tecnici dell'ufficio,
ma,  cosa  ancor  piu'  grave,  e'  disfunzionale alle logiche di una
amministrazione  efficiente  della  giustizia, dando luogo cosi' a un
ulteriore profilo di vio-lazione dell'art. 97 della Costituzione.
   Accade,  infatti,  che  non  venga  pagato  un  professionista (il
consu-lente tecnico dell'ufficio) che:
     1) non puo' scegliere di accettare o no l'incarico conferitogli;
     2)  non  ha  alcun  potere  di  condizionare  il  sorgere  e  il
concludersi della lite;
     3) il cui compenso e' subordinato all'esito della lite medesima.
   Mentre viene sempre e immediatamente remunerato un professio-nista
- l'avvocato - che:
     1) puo' scegliere di patrocinare o no la causa;
     2)   puo'   (nei   limiti   della   normale   alea  processuale)
pronosticarne l'esito.
   Sembra  al  sottoscritto  che  la disparita' di trattamento teste'
descritta  sia  inaccettabile  e  in  contrasto  con  l'art.  3 della
Costituzione  e  che,  paradossalmente,  sarebbe logica piuttosto una
disciplina  esattamente  inversa  delle  due  situazioni (ma comunque
almeno  costituzionale  una  - che e' quella che si chiede alla Corte
costituzionale  di  affermare  -  che  equipari  il  trattamento  dei
compensi  dovuti  agli  ausiliari  del  giudice a quello dei compensi
dovuti ai procuratori delle parti ammesse al patrocinio a spese dello
Stato).
   Sarebbe   logico,   cioe',   pagare  sempre  e  immediatamente  un
professionista  che e' costretto a prestare la propria opera sempre e
in  ogni  caso (fondata o no che sia la domanda oggetto del giudizio)
e,  invece,  «pre-notare a debito» le somme dovute all'avvocato, che,
cosi',  valuterebbe  prima  di  promuovere un giudizio quante e quali
ragioni di fondatezza le sue domande abbiano.
   Una  tale disciplina eviterebbe il proliferare di giudizi privi di
fon-damento,   promossi   da  professionisti  consapevoli  di  essere
comunque  remunerati,  anche  in caso di esito negativo del giudizio.
Proliferare di giudizi infondati che grava di una enorme quantita' di
lavoro  gli  uffici  giudiziari  e  di  elevatissimi  costi  le casse
dell'erario.
   6.  - Infine, un ulteriore profilo di violazione dell'art. 3 della
Costituzione  si  ha nella differenza di trattamento fra i consulenti
tecnici d'ufficio nominati dal giudice nel processo civile - che, nei
casi qui in discussione, non vengono pagati - e i periti nominati dal
giudice  nel  processo  penale, che, ai sensi dell'art. 107, comma 3,
lettera  d),  d.P.R.  n. 115/2002, vengono pagati sempre e subito con
anticipazione delle corrispondenti somme a carico dell'erario.
   7.  -  Sembrano  applicabili  alla  questione che qui si propone i
principi  recentemente  affermati  dalla  Corte costituzionale con la
sentenza  n. 174  del  28  aprile  2006,  con  la quale ha dichiarato
«l'illegittimita'   costituzio-nale   dell'art.  146,  comma  3,  del
medesimo  d.P.R.  30  maggio  2002,  n. 115,  nella  parte in cui non
prevede  che  sono spese anticipate dall'Erario "le spese ed onorari"
al curatore» fallimentare, considerato, fra l'altro, che nel caso qui
in  discussione,  a  differenza che per il cu-ratore fallimentare e a
ulteriore  motivo  di  fondatezza  del dubbio di inco-stituzionalita'
della norma:
     1) l'espletamento del mandato di consulente tecnico dell'ufficio
e' obbligatorio per il nominato (mentre per il curatore non lo e);
     2)  in  materie  specialistiche come quelle oggetto del presente
giudi-zio  il  numero dei professionisti fra i quali si puo' fare una
«rotazione»  e' infinitamente piu' basso del numero di professionisti
fra  i  quali  si  puo'  scegliere  un  curatore fallimentare, con la
conseguenza   che   davvero   non   si  puo'  pretendere  che  alcuni
professionisti lavorino gratuitamente in maniera quasi abituale.
   Nella   motivazione   della   sentenza  teste'  citata,  la  Corte
costituzio-nale ha statuito, fra l'altro che:
     «La  volontarieta'  e non obbligatorieta' dell'incarico e la non
as-similabilita' della posizione del curatore a quella del lavoratore
non  escludono  il diritto del curatore al compenso, ne' giustificano
la  non  ricomprensione  delle  spese e degli onorari al curatore fra
quelle  che,  come le spese e gli onorari agli ausiliari del giudice,
sono  anticipate  dallo Stato, in caso di chiusura del fallimento per
mancanza di attivo».
     «L'invocazione  della  prassi (sentenza n. 302 del 1985) secondo
cui  "i giudici delegati si inducono a indennizzare i professionisti,
cui  e'  affidata  la curatela di fallimento che si appalesa privo di
attivo  suscetti-bile  di  ripartizione,  con la nomina a curatori di
fallimenti, nei quali la ripartizione di attivo sembra probabile" non
e'  certamente  probante,  dal  momento che tale "prassi" lascia, pur
sempre,  senza  compenso  il curatore per quanto riguarda l'attivita'
svolta  per  il  fallimento  senza attivo; e lo stesso deve dirsi del
principio secondo cui i fallimenti c.d. negativi sono un mezzo per la
crescita  professionale del curatore (ordinanza n. 488 del 1993), dal
momento  che  l'affinamento professionale non giustifica la negazione
del relativo compenso.
   Rapportando  al  caso  qui in discussione i principi affermati dal
Giudice  delle  leggi,  va  detto  - con riferimento al primo dei due
brani  di  motivazione  teste'  riportati  -  che,  se addirittura il
«diritto  del  professio-nista  al compenso» non e' escluso (nel caso
del curatore fallimentare) dalla «volontarieta' e non obbligatorieta'
dell'incarico»,  che  lascia  co-munque  il  professionista libero di
valutare   o  no  la  convenienza  di  accet-tarlo  ugualmente  anche
gratuitamente,  a  maggior  ragione quel diritto al compenso non puo'
essere escluso quando il professionista non ha scel-ta.
   Mentre, con riferimento al secondo dei due brani, va ribadito che,
per  un verso, come e' illogico (e tale appunto ritenuto dalla Corte)
ritene-re che possa considerarsi «remunerazione» quella eventualmente
corrisposta per altri incarichi al curatore di un fallimento, cio' lo
e'  altrettanto  e  anzi  ancora  di  piu'  per il consulente tecnico
dell'ufficio,  che,  peraltro,  ai  sensi  dell'art.  130  del d.P.R.
n. 115/2002,  riceve gia' per gli eventuali «altri» incarichi onorari
dimezzati.  Mentre,  per  altro  verso, per le ragio-ni gia' dette, i
professionisti dei quali qui si discute riceveranno in molti (troppi)
casi incarichi «non remunerati».
   Infine,  e'  evidente  che,  non  solo,  come ha statuito la Corte
costitu-zionale,  «lo  stesso  deve dirsi del principio secondo cui i
fallimenti  c.d. negativi sono un mezzo per la crescita professionale
del   curatore   (ordi-nanza   n. 488  del  1993),  dal  momento  che
l'affinamento  professionale non giustifica la negazione del relativo
compenso»,  ma  nel  caso  dei  consulenti  tecnici medico legali gli
incarichi   loro   conferiti   -   come   quello  oggetto  di  questo
provvedimento   -   non   solo  non  possono  costituire  «mezzo  per
l'affinamento  professionale», ma l'affinamento professionale» devono
assolutamente presupporre.
   8.  -  La rilevanza della questione appare evidente, perche' se la
Corte  costituzionale  riterra'  l'art.  131,  comma 3, del d.P.R. 30
maggio  2002, n. 115, incostituzionale nella parte in cui dispone che
i   compensi   dovuti  agli  ausiliari  del  giudice  civile  vengano
«prenotati  a debito», invece che anticipati dall'erario come avviene
per  i  compensi dei procuratori delle parti (ai sensi dell'art. 131,
comma  4,  del  medesimo d.P.R.) e per i compensi degli ausiliari del
giudice  penale  (ai  sensi  dell'art.  107,  comma 3, lettera d) del
medesimo  d.P.R.),  si  potra'  disporre  che i compen-si dovuti alla
dott.  Spina  siano  anticipati  dell'erario e pagati immediatamente.
Diversamente, cio' non potra' essere disposto.